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REDAZIONALE.

Lo Stato moderno ha affermato la logica del dominio come occupazione assoluta di tutto il territorio senza lasciare sporgere nulla fuori da sé. Per far ciò non si è servito soltanto dell'occupazione militare e poliziesca, della proprietà e dell'omologazione a sé stesso di qualunque forma di vita sociale, si è servito, soprattutto, della ragione divenuta strumento di dominio. Essere ragionevoli significa non essere ostinati, cioè adattarsi alla realtà così com'è, scrive Horkheimer. E, difatti, il principio di adattamento alla realtà è il primo compito che la ragione strumentale esegue rendendo un servigio al dominio. Il dominio esige che nulla d'ignoto permanga fuori dalla sua sfera di controllo, e niente sia lasciato fuori dalla portata del suo dominio. Quindi il territorio del dominio si estende fino all'io, e ancora fino all'inconscio, nel tentativo di prosciugarlo. La ragione strumentale vincola lo stato della coscienza a quell'utile quotidiano che ne costituisce la sua regola, ben dentro quell'unico criterio di rapportazione rimasto in circolazione: il calcolare. Così che, di fronte ad un mondo scientificamente e tecnicamente organizzato, strutturato e razionalizzato fin nel più piccolo dettaglio, dove ciascun individuo funziona sempre più come componente terminale del processo di produzione e riproduzione del sistema, è chiaro che nessuno può mai divenire ciò che è, ma quello che sceglie all'interno di quanto il sistema ha già predisposto. Informare non è semplicemente dare notizie o produrre nuovi prodotti, ma è fondamentalmente (in)formare l'immaginario, la costruzione di realtà. Così il livellamento delle esperienze e delle aspirazioni si realizza dentro un quadro comune, un unico quadro comune: il collettivo (inteso come modo individuale di esistere organizzato dal sistema) viene di fatto posto in grado di compiere la sua opera di controllo e repressione senza ricorrere all'impiego di strumenti brutali. Il sistema avendo anticipato l'ambito di ogni possibile decisione, sottrae ai singoli il peso della propria responsabilità, gratificandoli con i mezzi necessari per portare a compimento le decisioni prese. Così si rende gradito ad essi, approfondisce il suo radicato dominio che si esercita nel livellamento di tutte le cose, che riduce a pura insignificanza. Ma tutti continuano a far finta che le cose non stiano così! Si, siamo tutti nell'obbligo di manifestare o comunicare. Noi non sappiamo chi sia l'uomo libero, né come possa essere. Certo è un uomo senza alibi. Chi può dire io sono sempre nelle mie azioni e mai niente al di fuori di queste? Chi può dire il mio valore non proviene dalle convinzioni che nutro su di me, ma da quel sapere che le mie azioni sono sempre il prodotto di ciò che le ha costrette il mio proprio essere così com'è in ogni circostanza? Però, là dove si disabita ogni tribunale, compreso quello inerente a sé stessi, si smette di pensare come farlo funzionare meglio. Nessuna conclusione, nessuna polizia delle idee. Fine della società dei giudizi. Mettiamo, una volta per tutte, a tacere il gendarme che ci abita, ci sorveglia e ci suggerisce le pene che dobbiamo infliggerci o infliggere a chi non asseconda i nostri piani. Noi vogliamo levare ogni alibi alle nostre azioni: con questa rivista vorremmo (e questo è un paradosso!) indagare le condizioni di noi stessi, di noi stessi all'interno del magma sociale congelato e congelante e di noi stessi all'interno dei desideranti processi di auto-liberazione individuale e sociale, cercando di farla finita con i modelli e le coazioni a ripetere. La rivoluzione è una carta bianca. Paradosso di ogni intelligenza è partire dal rendere tutto intellegibile per finire in una dotta inintellegibilità su tutto. Qui il giuoco si fa interessante, il resto dipende da voi.

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