Le calate
Visite popolari al manicomio di
S. Lazzaro

Dopo il reparto 14, in periodi successivi, a Imola mi sono dedicato al graduale smantellamento di altre due divisioni psichiatriche dell'Ospedale "Osservanza".
Comunque a mio parere non è questo il mio lavoro di maggiore significato, ma il lavoro portato avanti nel territorio provinciale di Reggio Emilia agli inizi degli anni '70.
Dopo aver lavorato per qualche mese a Gorizia con Basaglia e con Pirella, fui invitato da Giovanni Jervis ad andare a lavorare con lui a Reggio. Jervis e io sapevamo che, entro certi limiti, le nostre idee e i nostri metodi avrebbero potuto procedere parallelamente.
Quando nel 1970 divenni responsabile del gruppo di lavoro del Centro di Igiene Mentale di Castelnuovo ne' Monti la nostra attività era essenzialmente diretta a evitare tutti gli internamenti in manicomio, occupandoci naturalmente di tutti i problemi sociali relativi.
Il nostro metodo era la discussione dettagliata e approfondita di tutte le questioni, non solo con la persona interessata dal pericolo dell'internamento, ma con tutti quelli che erano o potevano essere implicati nella situazione: per esempio i familiari, i datori di lavoro, i sindaci, i sindacati, i medici generici, e tutti coloro che avevano rapporti importanti con la persona di cui ci occupavamo.
Ricordo che una volta Jervis, che già cominciava a non essere del tutto d'accordo con me, mi disse: "Se non li ricoveri tu, quando tu non ci sei li ricoverano gli altri". A cui io risposi: "Sarebbe come se tu mi dicessi a proposito degli ebrei durante la persecuzione razziale: se tu non li denunci non serve a nulla tanto li denunciano gli altri".
Il fatto è che si delineava una divergenza di fondo. Jervis ragionava in termini psichiatrici e di tutela dell'ordine pubblico, e distingueva pertanto "i casi gravi più pericolosi" da internarsi, da quelli "meno gravi e meno pericolosi" da assistersi a casa.
Io invece ragionavo in termini di conflitto problematico tra individuo e società, e di diritto dell'individuo di essere rispettato nella sua libertà nel contesto di una società che vuol progredire per divenire più aperta e meno intollerante.
Fu così che, in rapporto a questa mia linea teorica, il gruppo della montagna da me diretto, cominciò diversamente dagli altri gruppi che operavano nel resto del territorio di Reggio Emilia, a organizzare nei più diversi paesi e villaggi, assemblee popolari per discutere i problemi, gravi, in una zona economicamente sottosviluppata e ad alto tasso di emigrazione, del disagio sociale e dell'internamento in manicomio.
Il lavoro in montagna, in rapporto ai casi individuali, e in relazione alle attività delle assemblee popolari fu portato avanti oltre che da me e dal mio gruppo, anche dalla dottoressa Eugenia Omodei Zorini, una intelligente interprete attuale del pensiero freudiano più avanzato.
La prima assemblea popolare si svolse a Cervarezza e ricordo che mentre esponevo i miei punti di vista ci fu un uomo, un contadino che mi disse:

Tu ci dici che in manicomio non ci sono dei matti, ma i nostri compagni più sfortunati che sono stati internati per motivi di produttività e di ordine sociale. Altri invece ci dicono diversamente. Come facciamo noi a sapere chi ha ragione?
Allora intervenne un altro che disse: Perché non andiamo a vedere ?

Così nacque l'idea ed ebbero inizio le calate dalla montagna della popolazione interessata a rendersi conto direttamente della realtà e del significato del manicomio.

Durante il periodo delle visite popolari all'Istituto Psichiatrico San Lazzaro di Reggio Emilia vi furono discussioni, dibattiti e documenti, tra cui, uno dei più interessanti, fu pubblicato dalla rivista fiorentina di Piero Calamandrei "Il Ponte".
Dato il suo interesse sia culturale che teorico ne riporto interamente il contenuto.

ANCORA SULLE VISITE AL S. LAZZARO

Perché un giorno questi muri cadranno e
noi ritorneremo alle nostre case
(Alcide Cervi)


Questo documento è stato redatto da un comitato popolare eletto pubblicamente dai cittadini della montagna reggiana, che hanno sentito il dovere civile di interessarsi della salute dei ricoverati all'Istituto neuropsichiatrico di S. Lazzaro.
Le visite che abbiamo effettuato al S. Lazzaro sono state oggetto di interpretazione difforme: certa stampa ha maliziosamente equivocato sulle ragioni di questa iniziativa, fino a gonfiare una polemica con l'evidente scopo di screditare l'operato di coloro che cercano di umanizzare e razionalizzare un servizio fondamentale come quello dell'igiene mentale.
Ci siamo sentiti qualificare di volta in volta come perturbatori dell'ordine costituito, incoscienti, sabotatori ed ora, con un piccolo capolavoro di ipocrisia, come "persone che si sono aggirate fra i reparti come se fossero allo zoo", termini che suggeriscono al lettore di attribuire una morbosa e divertita curiosità a chi cerca invece di compiere il suo dovere di cittadino.
A questo punto ci riteniamo ingiuriati e denunciamo il tentativo di bloccare queste iniziative democratiche a vantaggio del mantenimento di interessi nocivi per la salute dei nostri concittadini e lesivi della economia della nostra comunità.
Non si illudano coloro che ci hanno incolpati di "interruzione di pubblico servizio", di fermare quel movimento che permette ai cittadini, con la garanzia della costituzione e dell'ordinamento regionale, azioni di intervento e di controllo su tutte le strutture.
Ogni cittadino deve conoscere i suoi diritti e deve ricorrervi senza timore. Lo statuto regionale prevede la possibilità, anche per un singolo cittadino, di avere copia e controllo di atti amministrativi; la creazione di commissioni di inchiesta e di studio su materie e problemi che comunque interessano la regione; spetta agli elettori, alle organizzazioni dei lavoratori di proporre atti amministrativi, misure e provvedimenti che la Regione può adottare nell'ambito dei suoi poteri.
Noi chiediamo e vogliamo controllare come sono spesi i soldi per questo servizio.
Noi chiediamo, già da ora, come mai i ragazzi ricoverati al De Sanctis, che costano alla comunità 14.000 lire al giorno, erano rinchiusi senza assistenza e senza libertà in stanze dove spesso era messa a repentaglio anche la loro incolumità fisica. Chiediamo perché i gabinetti erano intasati e spargevano feci ed urine fino nei corridoi; chiediamo perché i bambini mangiavano carne in scatola quando la retta giornaliera pensiamo permetta un trattamento diverso.
Queste cose non possono venire accertate da chi visita il S. Lazzaro guidato dagli "addetti al traffico"; in questo modo il cittadino vede soltanto ciò che la direzione vuole mostrare .
Ma se qualcuno si perde per la strada, in queste visite guidate, ed accerta personalmente le condizioni dei degenti fuori della "pista ciclabile", ecco allora scoprire gente legata da anni, persone obbligate a letto per mesi da fratture mai composte o curate; cittadini rinchiusi perché dopo anni e anni di lavoro, al servizio di padroni che mai hanno pagato contributi si ritrovano nella miseria, nella fame e con la compagnia della silicosi.
A. A. fu costretto dai nazisti, mitra puntato nella schiena, a seppellire i suoi compagni, precedentemente fucilati. Uno di questi era proprio un suo amico, non era morto; A. A. dovette seppellirlo vivo. Uno spaventoso senso di colpa ha devastato la vita di quest'uomo, che venne rinchiuso al S. Lazzaro.
Questa nostra linda e organizzata società, condotta dai potenti e moralizzata dai benpensanti, ha come scopo lo sfruttamento dell'uomo per produrre denaro o potenza: come risultato, l'eliminazione del lavoratore che non regge il ritmo di produzione, il cottimo, la catena di montaggio, il lavoro pendolare, la disoccupazione, l'emigrazione e lo sfruttamento.

Queste persone, i lavoratori ed i loro figli, riempiono gli istituti psichiatrici dove il sistema compie il secondo, grande delitto contro di loro. Poiché non servono più alla società dei consumi, poiché sono uno specchio fastidioso per la coscienza del benpensante, vengono isolati e ridotti al silenzio; vengono posti in condizione di non difendersi (mezzi di contenzione, psicofarmaci) e di non turbare il sonno dei colpevoli.
Questi nostri fratelli vantano un credito molto pesante verso la società, cioè verso tutti noi. E per questo che siamo andati al S. Lazzaro e che ci torneremo, perché ci sentiamo responsabili, anche noi, e colpevoli nell'accettare una società ingiusta senza lottare.
Ci accusano di fare della politica. Vorremmo che la stampa che ci rivolge tale accusa, ci spiegasse anche com'è possibile cambiare radicalmente questa società senza fare della politica. Com'è possibile lavorare con sicurezza per vivere dignitosamente senza andare contro gli interessi di un sistema che spreme il lavoro del cittadino per produrre profitti ma non benessere e libertà, com'è possibile avere una casa propria, un'assistenza sanitaria efficace, una pensione dignitosa, una scuola che non sia una fabbrica di disoccupati, senza combattere politicamente un sistema che queste riforme non ha ancora attuato dopo 26 anni di potere
C. C., studente universitario, ha abbandonato deluso gli studi perché lo portavano ad una professione già intasata da tanti disoccupati.
Dopo aver invano cercato lavoro, lo scoraggiamento ed il rimorso di pesare sull'economia familiare corrodono giorno per giorno la sua volontà di vivere.
Il S. Lazzaro viene presentato come una cittadella o ampia comunità fra ricoverati, medici, infermieri, personale di servizio. Contestiamo in pieno questa affermazione.
Non dubitiamo che esista anche il personale dedito con abnegazione a questo difficile compito; ma anche la miglior buona volontà si perde in una struttura come quella del S. Lazzaro, dove tutto fa pensare alla repressione e alla violenza. La mentalità che è responsabile della sua condizione umana priva il ricoverato della fiducia e della dignità necessarie per ritornare ad essere libero.
Il professor Benassi, direttore del S. Lazzaro, dice che non ha certo nulla da nascondere. Noi contestiamo questa affermazione.
Perché i parenti dei ricoverati, quando si recano in visita, devono attendere tanto tempo prima di poter vedere i loro congiunti? Perché le delegazioni di cittadini che si recano in visita sono bloccate, deviate su itinerari prestabiliti, o addirittura non possono accedere ai reparti e vengono respinte a suon di denunce?
Non crediamo che le nostre visite siano di danno ai ricoverati.
Durante una visita al reparto Morel, dove vengono rinchiuse le degenti più esasperate e agitate, una donna ha affrontato una visitatrice percuotendola e tentando di strapparle la borsetta. E bastato che la visitatrice non perdesse la calma e le cedesse di buon grado l'oggetto della sua attenzione per smontare ogni animosità. La degente ha aperto la borsetta, ha estratto un fazzoletto che ha usato, richiudendo poi con cura la borsetta e restituendola con un grazie. Ogni atteggiamento aggressivo era scomparso lasciando il posto ad una meravigliata soddisfazione, forse soltanto perché invece di una iniezione le si era dimostrata fiducia.
Siamo stati abbracciati festosamente dai ragazzi ricoverati e siamo stati trattenuti perché la nostra visita era un regalo prezioso per loro. Alcuni degenti piangevano di commozione al vederci, e Ci guardavano con una riconoscenza che ci riempiva l'animo di rimorso per tanta inerzia nei loro confronti. Con aria scandalizzata il "Resto del Carlino" del 21 aprile 1971 chiede "... Si mirerebbe a "smantellare" un'antica e illustre istituzione psichiatrica come il S. Lazzaro. Addirittura! E dove andrebbero a finire i mille cinquecento ricoverati?"
Il problema è da rovesciare. Bisogna evitare i ricoveri con una efficace azione di politica preventiva. Disperati e ricoverati si finisce per cause ben individuabili e quindi evitabili.
Non basta distruggere una prigione come quella del manicomio: bisogna evitare che il sistema violenti la libertà degli individui fino a condurli al ricovero. Dobbiamo lottare per una società organizzata in modo da garantire al cittadino i suoi diritti, per una politica di radicali riforme che migliorino la vita dei lavoratori. In questo modo tutti i manicomi compreso il S. Lazzaro si esauriranno da soli.
Lo scopo del comitato, che è espressione della volontà popolare, è quello di denunciare la situazione mostruosa dei manicomi e di promuovere una mobilitazione continua fino alla scomparsa di questi istituti.